“TERREMOTI 2016 – INCOSTITUZIONALITÀ DI UNA DISPOSIZIONE FONDAMENTALE SULLA RICOSTRUZIONE PRIVATA (ART. 6, COMMA 13, DELLA LEGGE 15 DICEMBRE 2016, N. 229) – CONSEGUENZE DANNOSE”

Pubblichiamo un’interessante lettera di un concittadino rivolta alle più alte cariche dello Stato, riguardante certamente un tema molto trascurato:

“Oggetto: Terremoti 2016 – Incostituzionalità di una disposizione fondamentale sulla ricostruzione privata (art. 6, comma 13, della legge 15 dicembre 2016, n. 229) – Conseguenze dannose

Al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

e per conoscenza

Al Presidente Pietro Grasso, ai vicepresidenti e ai senatori del Senato della Repubblica

Al Presidente Laura Boldrini, ai vicepresidenti e ai deputati della Camera dei Deputati

Al Presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni

Al Presidente della giunta della Regione Marche Luca Ceriscioli

Agli assessori e ai consiglieri della Regione Marche

Al Presidente della giunta della Regione Umbria Catiuscia Marini

Agli assessori e ai consiglieri della Regione Umbria

Al Ministro dell’economia e delle finanze Pier Carlo Padoan

Ai sindaci, agli assessori e ai consiglieri dei comuni colpiti dal terremoto

Ai mezzi di informazione

A chiunque sia interessato

Caro Presidente Mattarella,

abitavo nel centro storico di Camerino sia durante la sequenza sismica iniziata il 26 settembre 1997, sia durante quella iniziata il 24 agosto 2016 e proseguita il 26 e il 30 ottobre 2016 con alcuni dei più violenti terremoti mai registrati in Italia.

Come alcune migliaia di concittadini ho dovuto lasciare la casa resa inabitabile dal sisma e, allo scopo di capire che cosa accadrà, seguo l’attività di politici, governanti e parlamentari.

Con riferimento alle molteplici necessità di coloro che risiedevano nelle zone devastate e, in particolare, alla ricostruzione degli edifici danneggiati o distrutti, sia i politici della maggioranza sia quelli delle varie minoranze hanno spesso ripetuto «I soldi ci sono», allo scopo di tranquillizzare oppure di criticare.

Questa affermazione è falsa: la Repubblica italiana ha un debito pubblico tale da farne temere il fallimento o quanto meno un grave dissesto finanziario qualora si verificassero eventi che potrebbero incidere sulla fiducia degli investitori e dei creditori nazionali e internazionali. Per eseguire la ricostruzione delle città e dei paesi occorrerà una quantità di denaro che il governo non ha, come già dimostrano i gravissimi ritardi nella realizzazione degli alloggi per le migliaia di senzatetto (è solo di qualche giorno fa, dopo sette mesi, la consegna dei primi 25, subito contestati come «container travestiti da casette») e delle stalle per gli allevatori; i grandi ritardi nel pagamento degli albergatori e nel pagamento dei contributi per l’autonoma sistemazione; la concessione tardiva del diritto di chiedere la sospensione delle ritenute ai pensionati e il comportamento ostruzionistico per evitarla; e così via.

La preoccupante situazione finanziaria ha condizionato in misura decisiva il contenuto del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189 da parte del governo, cioè del presidente del consiglio e dei quindici ministri, i quali, disciplinando la ricostruzione privata degli edifici distrutti o danneggiati dai terremoti, con l’art. 6, comma 13, hanno stabilito quanto segue: «La selezione dell’impresa esecutrice da parte del beneficiario dei contributi è compiuta mediante procedura concorrenziale intesa all’affidamento dei lavori alla migliore offerta. Alla selezione possono partecipare solo le imprese che risultano iscritte nella Anagrafe di cui all’articolo 30, comma 6, in numero non inferiore a tre. Gli esiti della procedura concorrenziale, completi della documentazione stabilita con provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma 2, sono allegati alla domanda di contributo».

I novecentoquarantacinque parlamentari della Repubblica hanno convertito il decreto nella legge 15  dicembre 2016,  n. 229, senza modificare l’art. 6, comma 13.

Questa disposizione è incostituzionale e produce conseguenze dannose nei confronti dei terremotati; dimostrerò la fondatezza di tale asserto mediante una riflessione articolata.

1. Nel nostro ordinamento il diritto di proprietà privata sugli edifici, riconosciuto e garantito dall’art. 42, comma 2, della Costituzione, comprende, fra l’altro, sia la libertà di scegliere i contraenti per lo svolgimento di tutti i lavori (edilizi, idraulici, di falegnameria e così via) che possono riguardare gli edifici, sia la libertà di determinare il contenuto dei relativi contratti di appalto, con la possibilità, per il proprietario, di riservarsi anche la scelta dei materiali, l’individuazione dei fornitori e la contrattazione dei prezzi. Che si tratti di due libertà è affermato, in termini generali, dalla Corte costituzionale nella sentenza 15 maggio 1990, n. 241 e dipende dall’assoluta e decisiva preminenza del fattore fiducia in un insieme di scelte (riguardanti, in materia edilizia, appaltatori, fornitori, produttori di materiali), nelle quali il proprietario non può essere sostituito da nessun altro soggetto contro la sua volontà.

Orbene, l’imposizione normativa della procedura concorrenziale viola l’art. 42, comma 2, della Costituzione per due motivi.

In primo luogo, tale imposizione viola la libertà del proprietario di scegliere le imprese esecutrici della ricostruzione dell’edificio disastrato dai terremoti in base alla fiducia nelle capacità professionali dei diversi imprenditori necessari (edili, idraulici, elettrici ecc.) e delle loro maestranze sia perché costringe il proprietario a scegliere una sola impresa ovviamente edile, che ha la libertà di scegliere tutte le imprese subappaltatrici degli altri lavori (idraulici, elettrici, di falegnameria ecc.); sia perché costringe il proprietario a sceglierla mediante una selezione fra imprese non scelte da lui; sia perché la selezione è basata esclusivamente sul prezzo; di conseguenza, l’art. 6, comma 13, viola l’art. 42, comma 2, della Costituzione.

E’ impossibile confutare l’esistenza di questa violazione invocando la funzione sociale della proprietà privata, che, comunque s’intenda, non ha nulla a che fare con il caso considerato.

In secondo luogo, l’imposizione della procedura suddetta viola la libertà del proprietario di determinare il contenuto dei diversi contratti di appalto per la ricostruzione dell’immobile. A questo riguardo bisogna considerare che, in base al citato comma 13, i lavori devono essere affidati all’impresa che ha presentato «la migliore offerta»; è del tutto evidente che, prima di presentare l’offerta che poi risulterà migliore e al fine di predisporla, l’imprenditore dovrà individuare i subappaltatori (l’idraulico, l’elettricista, il falegname ecc.), i fornitori, scegliere i materiali, pattuire i prezzi e stipulare i relativi contratti. Ne consegue che il proprietario sarà totalmente escluso sia dalla scelta dei subappaltatori, sia da quella dei fornitori sia da quella dei materiali sia dalla pattuizione dei prezzi; quindi, anche per questo motivo l’art. 6, comma 13, viola l’art. 42, comma 2, della Costituzione.

2. Il cosiddetto codice degli appalti (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50)  prevede due criteri per l’aggiudicazione dei lavori: quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del migliore rapporto qualità/prezzo (art. 95, comma 2) e quello del minor prezzo (art. 95, comma 3). L’art. 6, comma 13, della legge n. 229, citato sopra, prevede, a sua volta, il criterio della migliore offerta.

Già tenuto conto delle condizioni disastrose in cui versa la finanza pubblica e della conseguente mancanza di denaro per la ricostruzione, si può affermare con assoluta sicurezza che la migliore offerta coincide con il minor prezzo; ma ogni eventuale dubbio circa il significato da attribuire all’espressione «migliore offerta» sparisce leggendo l’Allegato C all’ordinanza 9 gennaio 2017, n. 12, adottata dal Commissario del governo per la ricostruzione, in particolare l’elenco dei documenti da accludere alla domanda del contributo per l’intervento sull’edificio disastrato. In uno di tali documenti il proprietario dell’edificio deve dichiarare «di avere provveduto a selezionare l’impresa attraverso i criteri e le modalità indicate nel verbale allegato all’istanza (di contributo) che riporta anche gli esiti del confronto economico fra le offerte pervenute ed il ribasso rispetto all’elenco unico prezzi»: dunque, l’offerta deve essere la migliore per lo stato miserando della finanza pubblica, non per la qualità antisismica dell’edificio da ricostruire. E’ appena il caso di aggiungere che il minor prezzo offerto dall’impresa aggiudicataria si è formato con il concorso del minor prezzo di tutti gli altri imprenditori: il minor prezzo dell’idraulico, dell’elettricista, del falegname, dei fornitori di materiali e così via.

Com’è del tutto evidente, i sedici governanti e i novecentoquarantacinque parlamentari che hanno approvato l’art. 6, comma 13, ignorano che i proprietari degli edifici situati nelle Marche e in Umbria, danneggiati nel 1997 dal terremoto, dopo avere ottenuto il contributo pubblico per il miglioramento sismico previsto dalla normativa, erano tenuti a spenderlo in conformità del prezzario regionale, ma furono liberi di scegliere il progettista, l’impresa esecutrice dei lavori edilizi, gli altri imprenditori (l’idraulico, l’elettricista, il falegname ecc.), i materiali e i relativi fornitori: altri tempi, altro Parlamento, altro governo.

I sedici governanti e i novecentoquarantacinque parlamentari che hanno approvato l’art. 6, comma 13, ignorano, inoltre, i gravi difetti che il criterio del massimo ribasso ha prodotto nel campo delle opere pubbliche: spesso proprio i terremoti li hanno rivelati, causando crolli e dissesti di edifici pubblici costruiti o ristrutturati al minor prezzo.

I sedici governanti e i novecentoquarantacinque parlamentari che hanno approvato l’art. 6, comma 13, ignorano, infine, che il criterio del minor prezzo attirerà da altre regioni nelle città e nei paesi terremotati numerosi imprenditori privi di conoscenze circa il tipo di muratura, tipica di quei luoghi e realizzata spesso centinaia di anni prima, e, inoltre, privi addirittura di operai esperti nell’attività edilizia; questo è già accaduto nelle Marche dopo il terremoto del 1997 con molte gravi conseguenze, che sarebbe troppo lungo esporre. D’altro canto, nessuno può illudersi che la qualità delle imprese possa essere garantita dal fatto che, secondo l’art. 6, comma 13, «alla selezione possono partecipare solo le imprese che risultano iscritte nella Anagrafe di cui all’articolo 30, comma 6», perché tale elenco è, in realtà, l’«Anagrafe antimafia degli esecutori» e, dunque, nella sua formazione si prescinde dalla qualità professionale edilizia delle imprese.

3. Gli edifici inagibili sono migliaia. I sedici governanti e i novecentoquarantacinque parlamentari che hanno approvato l’art. 6, comma 13, evidentemente lo ignorano, perché non si sono posti i seri e complessi problemi pratici della gestione di migliaia di procedure concorrenziali; della determinazione di colui o di coloro che, in ogni procedura, dovranno esaminare attentamente le offerte per verificare la loro conformità al progetto prima di confrontare i prezzi; dell’immancabile sviluppo di attività corruttive; e via seguitando.

4. I sedici governanti e i novecentoquarantacinque parlamentari che hanno approvato l’art. 6, comma 13, ignorano quali e quanti metodi per eludere sostanzialmente la procedura concorrenziale possono essere adottati da imprenditori edili disposti ad offrire grandi ribassi da compensare, dopo l’aggiudicazione, con una peggiore qualità dei materiali e del lavoro e con lo svolgimento di attività corruttive: naturalmente tutto a danno esclusivo dei terremotati e non certo dei governanti e dei parlamentari che hanno approvato la disposizione citata.

                                                                *******

   In conclusione, i cittadini pagano numerosi tributi, buona parte dei quali gravano proprio sugli edifici; i tributi pagati concorrono anche al mantenimento dei governanti e dei parlamentari. Quando governanti e parlamentari ne restituiscono ai cittadini una parte per la ricostruzione delle loro abitazioni, la Costituzione garantisce ai cittadini la libertà di disporne. D’altro canto, è ragionevole che i cittadini ne dispongano in base al prezzario adottato dal Commissario del governo per la ricostruzione (ordinanza 14 dicembre 2016, n. 7), perché i prezzi in esso previsti dovrebbero garantire ai proprietari la ricostruzione antisismica degli edifici. E’ accaduto, invece, che governanti e parlamentari, unicamente preoccupati di ridurre al minimo l’esborso, hanno ignorato la Costituzione e imposto ai cittadini di accontentarsi degli imprenditori che offrono il massimo ribasso sui prezzi suddetti, con la conseguente scomparsa della garanzia qualitativa antisismica.

   Nel momento in cui scrivo, se mi fosse offerto il contributo per la ricostruzione con l’imposizione della procedura concorrenziale, io ho ancora la libertà di rifiutarlo e di lasciare l’edificio o ciò che ne resta nelle condizioni in cui si trova: questa libertà mi è riconosciuta e garantita dall’art. 42, comma 2, della Costituzione. Se, nel momento in cui sarà concretamente disponibile il contributo, tale libertà non sarà stata soppressa dagli stessi governanti e parlamentari che hanno già soppresso le due libertà costituzionali considerate in precedenza, io rifiuterò il contributo con la relativa procedura concorrenziale e avrò un motivo in più per non accordare alcuna fiducia a governanti e parlamentari affaccendati nelle loro interminabili e inconcludenti logomachie.

Egregio Presidente,

Lei ha visitato più volte i luoghi devastati dai terremoti e ha dichiarato: «Non vi lasceremo soli»; ma le responsabilità di governanti e parlamentari per l’approvazione dell’incostituzionale art. 6, comma 13, e per le sue conseguenze dannose nei confronti dei terremotati suscitano quantomeno fondati dubbi sulle reali intenzioni di costoro.

Poiché non ho la presunzione di consigliarLe alcunché, mi limito a dire che, se fossi al Suo posto, dichiarerei: «Non vi lascerò soli», cioè «Continuerò a visitare le vostre miserie», perché questa è l’unica promessa che sarei certo di poter mantenere.

Penso che questo messaggio non supererà i filtri quirinalizi e che Lei non lo leggerà, ma lo invio ugualmente, esercitando una libertà che non mi è stata ancora tolta: quella di manifestare il mio pensiero.

Le porgo i miei ossequi.

Francesco Vitolo”